Le madri non dormono mai - #mondidelledonne

giovedì 09/01/2025

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#mondidelledonne – Le madri non dormono mai

Segnalazione di Florinda Vitagliano

 

Edito da Einaudi nel 2022, è un romanzo dolente che attraverso le storie di una pluralità di personaggi, tristi, cupe, sature ognuna a suo modo di disperazione tanto da suscitare nel lettore l’impressione di una narrazione in bianco e nero, porta a riflettere sulla vera essenza del concetto di prigionia nelle sue diverse sfaccettature nonché sulle concrete possibilità di trovare una via di fuga da un destino che spesso pare irrimediabilmente segnato.

Il focus principale è incentrato sulle ospiti dell’istituto di custodia attenuata per madri detenute (ICAM) di Lauro, in provincia di Avellino, in cui il romanzo è ambientato, costrette a condividere la carcerazione con i propri figli di età inferiore ai dieci anni, reclusi loro malgrado da innocenti. Queste donne e la loro prole sono prigionieri a causa della nascita in contesti socio/culturali violenti in cui il degrado e la sopraffazione sono la regola e l’asservimento psicologico e la muta rassegnazione l’unico modo per sopravvivere.

Per queste donne, la cui unica ricchezza e ragione di esistenza è essere madri, le mura del carcere, con il trascorrere della permanenza, lungi dal rappresentare un ostacolo da scavalcare per riconquistare la agognata libertà, finiscono per diventare l’unica barriera difensiva in cui arroccarsi contro le brutture di un’esistenza misera e l’implacabile risucchio di un destino ineluttabile che le assedia e le attende fuori, dove torneranno a essere in costante pericolo, preda di uomini per cui l’abuso sistematico è un diritto, vittime di mariti cui hanno irrimediabilmente consegnato la propria vita, per coprire i crimini dei quali ne sono diventate complici e corree e quindi si trovano in carcere.

Sono madri intrise di una cultura di passiva sottomissione che le radica al proprio humus con la forza di una pianta infestante, di una gramigna in agguato, pronta a stritolarne l’esistenza, da cui non possono liberarsi nemmeno volendo se non a costo della vita; madri che non dormono mai perché fuori da quella prigione che per loro è quasi un albergo, nella quale soltanto si sentono al sicuro, la vita non concede mai né a loro né ai loro figli un po’ di tregua; madri convinte che il proprio compito sia quello di infondere alla prole il coraggio necessario per affrontare un mondo durissimo, dove non ci si può mostrare deboli, la sensibilità è una condanna, nessuno ti ama ed in cui per non soccombere al nemico troppo forte è necessario farselo amico fino a diventarne vittima sacrificale; madri convinte di dover essere infelici per giustificare la propria condizione esistenziale.

Le sbarre, tuttavia, sono il segno esteriore macroscopico della prigionia ma la loro assenza non denota automaticamente una condizione di libertà, perché la prigionia è una situazione psicologica che prescinde dal luogo in cui fisicamente ci si trova. Testimoni di questa scomoda verità sono le vite dei carcerieri - il direttore del carcere, le guardie carcerarie, la psicologa – che scorrono su binari paralleli apparentemente libere ma in realtà anch’esse prigioniere a causa di scelte sbagliate proprie o altrui, di aspettative deluse, di condizionamenti imposti, del lavoro, della rinuncia, di dolori passati, di persone che hanno approfittato dell’amore e della fiducia in loro mal riposta, del proprio carattere, di sé stessi.

Questo romanzo, partendo da una realtà circoscritta, parla della guerra interiore che molti hanno dentro con i propri demoni e le proprie colpe di cui non riescono a perdonarsi perché li hanno resi prigionieri di una vita diversa da quella che sognavano; per i quali la libertà è solo la facoltà di poter scegliere la propria schiavitù e, pur consapevoli della propria condizione, marciscono nell’attesa di un cambiamento esistenziale provocato da forze esterne in quanto privi del coraggio e della forza di volontà di spezzare da soli le catene; che dopo tanta reclusione hanno più paura d’essere liberi che incatenati, prigionieri dell’unica spietata esistenza possibile.

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