Il futuro del lavoro tra ufficio e smart working” webinar organizzato da Valore D

lunedì 31/05/2021

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Come sarà il futuro dopo l’emergenza? La narrazione degli ultimi tempi è stata univoca nel presentare lo smart working come un grande alleato, garanzia di equilibrio tra vita e lavoro, soprattutto per le donne. Ma non è stato così in pandemia, le donne hanno avuto un sovraccarico, dovendo sommare un lavoro da casa a un aumentata attività di cura (figli con DAD, anziani fragili) a tutto scapito del tempo da dedicare a se stesse, come hanno messo in evidenza recenti survey sull’argomento.

Il webinar “Il futuro del lavoro tra ufficio e smart working” organizzato da Valore D il 29 aprile scorso ha provato a ribaltare questa narrazione in un modo un po’ provocatorio, attraverso il confronto tra quattro punti di vista diversi, quello della psicologia sociale, della prospettive immobiliare, dell’organizzazione del lavoro e infine quello più propriamente giuridico: lo smart working presenta più rischi o più opportunità per le donne?

Elisabetta Camussi, docente di Psicologia sociale dell’Università Milano Bicocca ha sottolineato che il vero problema è che le donne non sono al lavoro e inoltre la situazione si è aggravata con la pandemia. Non bisogna dimenticare che il lavoro per le donne costituisce il modo per partecipare alla vita sociale, per separare lo spazio del lavoro da quello di casa. E questo apre infatti al secondo problema: siamo proprio sicuri che la presenza non sia necessaria? Quando si dice che le donne si infilano da sole nel recinto ci si limita a interrogarsi sul perché si fanno delle scelte ma bisognerebbe chiedersi se ci sono possibilità di scelta equivalenti, che non impattino sulla carriera o sul gender pay gap.

Mariano Corso, responsabile dell’Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano ha esordito sgombrando il campo da un equivoco: lo smart working non è lavorare da casa, se non si riaprono gli uffici non c’è vero smart working, perché manca la scelta. Anche gli effetti che valutiamo ora sullo stress costituiscono un errore logico, attribuiamo alla cura i danni del male. Non dobbiamo dimenticare infatti che la pandemia non è stata un esperimento, ma una catastrofe: in questa situazione avere uno strumento come lo smart working ha permesso una maggiore resilienza e ci ha fatto capire che si possono fare le cose in modo diverso, in un modo che apra all’inclusione. Anche il modo di condividere la cura in maniera diversa da quella tradizionale è stato ed è un aspetto positivo, ci fa intravedere la possibilità di un futuro più sostenibile: le donne per non essere penalizzate devono lavorare per obiettivi, con maggiore flessibilità, meritocrazia e condivisione dell’attività di cura, non all’interno di gabbie (v. il telelavoro), non con una rete di protezioni che non fanno altro che perpetuare i pregiudizi. Ecco quindi che lo smart working può far sperimentare nuovi equilibri, di efficacia verso gli stakeholders e di benessere individuale e sociale.

Un altro tema importante è quello del cambiamento degli spazi nelle aziende: Barbara Cominelli, CEO JLL Italia ha presentato un ufficio che cambia il suo purpose, un ufficio che non è più lo spazio dalle 9 alle 5 ma che diventa un “social club”, fondamentale per collaborare, fare problem solving, socializzare. Assistiamo alla diminuzione dei desk, gli spazi individuali scendono al 30, 40% si passa dall’ufficio organizzato come strumento di efficienza a spazi dove vivere esperienze. Si è detto che lo smart working negli uffici è la rivincita di Fantozzi! Via gli status, scrivania, sedia di pelle (umana!) ficus benjamin…ci si prenota lo spazio con un’app, sensori per monitorare la temperatura e la qualità dell’aria, bemessere, sostenibilità, tanto verde, l’ufficio diventa sempre più simile alla casa. E’ una rivoluzione culturale, non dimenticando che dalle indagini risulta che sono i più giovani a voler tornare al lavoro.

L’ultimo intervento è stato quello di Maurizio Del Conte, professore di Diritto del lavoro all'Università Bocconi, che ha voluto mettere in evidenza come all’epoca della legge 81/2017 si sia cercato di rendere compatibile spazio e tempo con una forma di lavoro che restasse subordinata, agendo per sottrazione attraverso l’eliminazione dei vincoli suddetti.

Diverse questioni che sembravano insormontabili (es. disconnessione, infortunistica, salute e sicurezza sul lavoro) non hanno creato particolari problemi nella fase pre covid, forse anche per il contenuto ricorso allo smart working. L’esperienza COVID ha ribaltato tutto, in particolare ha penalizzato le donne. Ma perché non è stato smart working, stiamo vivendo ancora nel framework dei DPCM. Ma ora bisogna guardare al futuro senza partire dall’idea di regolamentare quello che abbiamo vissuto (e stiamo ancora vivendo), anche perché non esiste un modello di smart working per tutte le aziende e per tutti i dipendenti, ma esistono beni trasversali. Del Conte si riferisce in particolare al tema della disconnessione, che sarà sicuramente da regolare (meglio con la contrattazione) nel new normal, notando un po’ provocatoriamente che se andiamo verso un vero smart working forse più che la disconnessione andrebbero definiti i periodi di connessione. Altro tema importante e potenzialmente divisivo è quello della retribuzione, perché se davvero vogliamo premiare il risultato non possiamo certo limitarci al cartellino, forse bisogna ragionare su una struttura retributiva che prescinda dai minuti di extralavoro (e in questa fase sono stati e sono tanti!) per evolvere verso un concetto di ora di lavoro come ora virtuale, che impatta sul risultato. C’è inoltre un’esigenza di innovare gli istituti tradizionali, di ridiscutere e ridefinire alcune categorie, come il potere direttivo, di controllo, disciplinare.

Al termine dell’interessante dibattito la moderatrice Rita Querzé ha lanciato un’ultima domanda per tutti i relatori: quale può essere un’idea per non penalizzare le donne, per evitare che lo smart working diventi il nuovo part time?

Pur dai diversi punti di vista, le risposte hanno evidenziato degli elementi comuni: necessità che lo smart working non sia uno strumento di conciliazione solo per le donne e che per rimuovere gli ostacoli di fatto per la partecipazione delle donne al lavoro bisogna intervenire non solo sulla cultura ma sui servizi, anche da parte delle aziende (al riguardo alcuni hanno manifestato una certa delusione per un PNRR in cui sembra mancare una vera strategia per una parità di genere); bisogna inoltre investire sul modello di leadership per una valutazione dei risultati, investire sull’engagement, sul benessere delle persone.

In conclusione c’è bisogno di ottimismo, di visione positiva del futuro ma senza dimenticare che le sfide sono tante e noi di ADBI siamo pronte a raccoglierle a e dare il nostro contributo!

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