Sei ricercatrici italiane pubblicano il loro studio di astrofisica e conquistano la Nasa
martedì 30/05/2017
Edwige Pezzulli,
Raffaella Schneider, Rosa Valiante, Maria Orofino, Simona Gallerani e Tullia Sbarrato, questi i nomi delle sei studiose italiane che firmano la ricerca apprezzata dalla Nasa e pubblicata sul Monthly notices of royal astronomical society, una delle riviste di astrofisica più importanti a livello mondiale.
Lo studio, dal titolo “Faint progenitors of luminous ∼ 6 quasars: Why do not we see them?” analizza la composizione del quasar, un nucleo galattico di 13 miliardi di anni, con l’utilizzo delle osservazioni dello Sloan digital sky survey (SDSS) e del telescopio spaziale Chandra, strumentazioni all’avanguardia che permettono di scrutare l’universo in lontananza. Finanziato dallo European Research Council nell’ambito dei progetti First, le conclusioni della ricerca delle sei italiane sono considerate un traguardo mai raggiunto fino ad oggi.
Un traguardo non solo scientifico ma di genere poiché, per la prima volta in assoluto, il team di lavoro è composto esclusivamente da donne.
“Solo al momento di inviare il lavoro ci siamo accorte che le firme erano tutte quante di donne“ - ha raccontato Raffaella Schneider, alla quale la Nasa ha offerto una collaborazione sul proprio blog per esporre i risultati del lavoro - “Non ci avevamo fatto nemmeno caso”.
Eppure non è l’unico primato per Schneider, docente associata alla Sapienza che nel 1996 fu la prima dottoranda in Italia a poter congelare la borsa per un anno e andare in maternità, eccezione fino ad allora concessa soltanto per il servizio militare.
"Sono convinta che la chiave del progresso risieda nella diversità e nel confronto tra più punti di vista. Non solo differenza di genere, dunque, ma anche occhi e culture diversi. In questo senso abbiamo portato lo sguardo femminile su un problema sempre affrontato da uomini" – afferma Edwige Pezzulli che, come Rosa e Raffaella, è entrata nel team fin da subito, mentre Tullia, Maria e Simona sono state invitate in un secondo momento per interpretare i dati delle osservazioni.
Dottorande e ricercatrici tra i 27 e i 46 anni, divise tra tre Università – La Sapienza, la Bicocca e la Normale di Pisa – ma accomunate da un aspetto importante: tutte, eccetto Raffaella, sono ancora precarie.
Il lavoro sul quasar ha però assicurato loro non solo il riconoscimento ufficiale della Nasa, come racconta Rosa che ha trascorso tutto il periodo di analisi assieme alla figlia Aurora di un anno e mezzo.
"Nelle notti e nei weekend di lavoro” – racconta – “mi si addormentava in braccio, così scrivevo e rispondevo a mail e chat con le colleghe usando una mano sola, ma questo impegno è ripagato: proprio grazie al progetto First ho avuto il rinnovo del contratto per un altro anno".
Fonte: LaRepubblica.it
Foto: ©Michele Ginolfi
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