Ripetute interruzioni durante una riunione, difficoltà a farsi ascoltare, riluttanza a prendere la parola: sono esperienze comuni a molte donne nel mondo del lavoro. Un recente articolo dell’Economist cita i casi di una senatrice americana e di una scienziata, dove le registrazioni video mostrano chiaramente che le donne non riescono a finire una domanda o un discorso a causa delle incessanti sovrapposizioni dei colleghi uomini[1].
Le donne si perdono in chiacchere? Questo assunto, per quanto diffuso, non trova riscontro nei dati; il numero di parole pronunciate in un giorno da persone dei due sessi (circa 16mila) è statisticamente indistinguibile; le differenze tra persone loquaci e taciturne sono più spiccate (da 50 mila parole al giorno a poche migliaia) che non quelle tra donne e uomini.
C’è una differenza di percezione. Chi ascolta la lettura di un brano, tende a considerarlo più lungo quando è letto da una voce femminile. Nelle conversazioni, questa percezione sembra avere un riscontro oggettivo, in quanto - a parità di parole - gli uomini fanno meno interventi, di maggior durata, mentre le donne intervengono spesso, con frasi brevi, a volte semplici conferme di ascolto e dimostrazioni di interesse.
In questa prospettiva, se gli uomini cercano di stabilire una gerarchia, mentre le donne mirano a creare collaborazione, i primi saranno portati a interpretare l’atteggiamento femminile come un gesto di sottomissione. Tuttavia, l’articolo riporta i risultati di ricerche condotte su persone di culture non occidentali, dove i ruoli di genere nell’uso del linguaggio sono meno netti, e in alcuni casi ribaltati rispetto agli stereotipi occidentali come ad esempio nel caso della Papua Nuova Guinea, dove le donne imparano a reagire ed a contrattaccare con un linguaggio anche volgare ( il cd kros) i comportamenti scorretti.