C'era una volta i Big Data. L'anno della statistica è il 1858


Florence Nightingale ha capito davvero a cosa servono i Big Data. "Da un lato il riutilizzo e l'analisi su vasta scala - nell'ordine delle migliaia, se non di più, anziché delle decine - di dati raccolti in precedenza. Dall'altro la possibilità di osservare e misurare il comportamento umano senza fare domande dirette" (cito un bell'articolo di Anna Momigliano su Rivista Studio). Cose che possono portare anche a applicazioni assistenziali basate sull'evidenza scientifica.

Torniamo a Florence. Non è esattamente una tipa smart, senza tablet o account social, usa carta, penna, calcoli a mente. Nonostante abbia due genitori ricchissimi, che la fanno nascere nel nostro paese, a Firenze. Le sue campagne sarebbero perfette per i siti di petizioni online: contro i medici che non si lavano le mani prima di eseguire interventi chirurgici e contro quelli che entrano in sala operatoria con gli stessi abiti che indossano per strada (su Via Gallia, a Roma, sulle strisce attraversava un medico in camice bianco, se poi è rientrato forse è pure peggio). Ma proprio non usa Internet.

È vittima del digital gap? No. Florence nasce nel 1820 e la sua storia l'ha raccontata benissimo Paola Tubaro, professore associato di sociologia economica all'Università di Greenwich (Londra) e sociologa presso il Centre national de la recherche scientifique (Parigi) a Roma qualche settimana fa in occasione del Better Decisions Forum