La casa della moschea - #mondidelledonne


#mondidelledonne - La casa della moschea

Segnalazione di Costanza Naldini

 

Pubblicato nel 2005 e scritto in lingua olandese dallo scrittore persiano Kader Abdolah, esule in Olanda dal 1988, è una saga familiare ambientata in Persia, a Senjan negli anni che vanno dallo sbarco sulla Luna, nel periodo del regime dello Scià Reza Pahlavi alla rivoluzione degli ayatollah e Khomeini.

La storia di un’agiata famiglia di mercanti di tappeti che vive in una grande casa accanto alla moschea di cui esprime l’imam (ruolo tramandato di padre in figlio tra i membri della famiglia) è un pretesto per narrare le vicende del paese e la cultura musulmana tollerante, prima della rivoluzione religiosa, quando la diffidenza per chi non rispettava i precetti religiosi veniva immancabilmente superata dall’affetto. La cultura persiana per i tappeti pregiati è descritta con dettagli che lasciano trasparire amore sincero per un artigianato di qualità che si fa arte ispirata alla natura.

Alla città santa di Senjan, dove si svolgono i fatti, si contrappongono la capitale moderna Teheran, e la città oltranzista di Qom, dove gli ayatollah preparano la rivoluzione religiosa.

La storia è anche quella della condizione della donna in Iran. In un mondo dominato e gestito da uomini ci sono ‘le nonne’, donne che per tutta la vita servono la famiglia; madri e figlie prive di autonomia e spesso prive della possibilità di esprimere un’opinione o le proprie emozioni; donne che lottano per emanciparsi, per trovare se stesse e avere un ruolo, pur restando spesso ombre o riflesso dei loro omologhi maschi.

Accade a Teheran durante il regime dello Scià: indossano collant, abiti occidentali e tagliano i capelli come Farah Diba, la moderna moglie dello Scià, la quale importa dall’occidente elementi di modernizzazione tra cui il cinema e l’abbigliamento. Mutamenti ben sintetizzati dai pensieri del capo famiglia: “Il volto del paese era profondamente cambiato, Aga Jan lo notava sempre più spesso quando viaggiava in treno. Gli abitanti del Sud erano più liberi e molto diversi da quelli di Senjan. In treno si incontravano donne senza chador e a volte perfino donne con le braccia nude. Donne con il cappello, donne con la borsetta, donne che ridevano, che fumavano. Aga Jan sapeva che era stato lo scià a introdurre tutti quei cambiamenti”. Accade anche durante la rivoluzione degli ayatollah, quando tra le ciniche e crudeli esecutrici delle rigide leggi imposte dal regime di Khomeini troveremo una delle protagoniste della saga familiare.

In modo singolare l’unica donna che non sembra ombra di un uomo è la pazza del villaggio, forse perché frutto della fantasia, un po’ pazza un po’ veggente.

Sebbene un po’ didascalico il romanzo è sicuramente ben narrato, fa emozionare e permette di cogliere da vicino aspetti di una realtà distante da quella per noi usuale. Interessante la descrizione del ruolo dei bazar nella politica, affascinante la descrizione della progettazione dei preziosi tappeti persiani, soppiantati nel tempo da prodotti sintetici a basso costo, derivati del petrolio, quasi una metafora dello sgretolamento di una società che si fondava su valori e storia antiche. Il romanzo è anche un monito universale rispetto al rischio di perdere diritti ritenuti fondamentali e dati per scontati. Il dialogo tra il capo famiglia Aga Jan e la moglie Faqri ne è una sintesi:

“È successa una rivoluzione, Faqri, questo non è solo un rovesciamento del potere politico, qui si è capovolto qualcosa nella testa della gente. Stanno per succedere cose che nessuno di noi avrebbe mai immaginato in una vita normale. La gente commetterà atrocità terribili. Guardati attorno, non vedi come sono tutti cambiati? Le persone sono quasi irriconoscibili. Non si capisce se si sono messi una maschera o l'hanno gettata”.